Policoro - Guida Turistica

CERCA ALBERGHI
Alberghi Policoro
Check-in
Check-out
Altra destinazione


.: DA VEDERE
 Interessantissimo da visitare è il Parco Archeologico, situato alle spalle del Museo Nazionale della Siritide, che custodisce i resti dell'antica città di Siris-Heraclea. Nelle vicinanze del Museo sono ubicati il Santuario di Demetra e il Tempio Arcaico dedicato a Dionisio risalente al VII sec. a.C. Nei pressi di Policoro si estende il Bosco Pantano, in cui vegetano specie tipiche di un clima temperato-umido, insolito rispetto al clima caldo-umido del litorale jonico. La città di Policoro, importante centro balneare della regione, è dotata di varie strutture turistiche per il soggiorno estivo e strutture ricettive che sono aperte tutto l'anno. Inoltre questo sito su Policoro vuole offrire dei servizi ad esempio: Risorse gratuite, ecc. che vanno al di la del semplice portale su un comune. Questo sito è stato realizzato da MontesanoWeb e non ha beneficiato di finanziamenti comunali o regionali.
IL CASTELLO DI POLICORO IL CASTELLO DI POLICORO
 Il castello di Policoro è detto anche del Barone Berlingieri, in memoria dell'ultima casata nobiliare che lo ebbe in proprietà. Il casale, menzionato già intorno al 1200 in un atto di donazione da parte di Alessandro e Riccardo di Chiaromonte al monastero greco di S. Elia di Carbone, divenne successivamente il perno del feudo di Policoro. Il feudo era caratterizzato da un'ampia tenuta delimitata dal Mar Jonio e dal fiume Agri e Sinni, con la mensa arcivescovile di Anglona e Tursi, e dal complesso di edifici rurali che oltre al casale comprendeva un casone, dei canalini, entrambi atti ad ospitare i salariati fissi e stagionali impiegati nella conduzione del fondo, ed una cappella, attualmente visibili. L'edificio appare ancora oggi in una posizione preminente rispetto alla città moderna e grazie al suo stato di conservazione, costituisce l'elemento di rilievo del parco archeologico di Heraclea. Infatti proprio per la contiguità esistente tra l'area urbana e dell'acropoli di Heraclea ed il Castello, l'intera collina è stata denominata "collina del castello". Nei pressi del castello sulla punta orientale dell'acropoli di Heraclea si sviluppò in età federiciana un castrum attestato da imponenti strati tardomedioevali rinvenuti nella zona. Le innumerevoli trasformazioni subite dall'edificio nei secoli, volute progressivamente dagli illustri proprietari che vi si sono susseguiti, sono leggibili anche in relazione ad un stampa del XVIII secolo, unico documento in cui si fa riferimento all'architettura dell'edificio. Qui appare raffigurato ad un piano con un campanile uscente dalla linea dei tetti ed una torre quadrata dotata agli angoli superiori di quattro torrette. Attualmente l'edificio si presenta a due piani e la torre quadrata risulta essere inglobata alla struttura del secondo piano. Tali modifiche, eseguite probabilmente tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, lasciano intravedere la trasformazione inevitabile del monastero in residenza laica, visto che sul finire del '700 di proprietà gesuita, fu venduto all'asta ed acquistato da Maria Grimaldi, principessa di Gerace. Nel 1693 il feudo di Policoro viene acquistato dal barone Luigi Berlingieri di Crotone, proprietario del feudo fino all'esproprio da parte della Riforma Fondiaria negli anni '50. La facciata principale del palazzo presenta ancora oggi al piano terra delle iscrizioni collocate sugli architravi delle finestre, importanti ai fini della ricostruzione storica dell'edificio; il portale settecentesco sormontato dallo stemma gentilizio della famiglia Berlingieri introduce in una corte interna a pianta rettangolare dalla quale si accede ai locali di servizio del piano terra, del seminterrato ed alla scala monumentale che conduce ai piani superiori. Tra gli ospiti illustri del castello si ricordano nel 1233 Federico II di Svevia, nel 1735 Carlo II di Borbone, nel 1799 il cardinale Ruffo, nel 1806 Giuseppe Bonaparte, nel 1869 Guglielmo di Baden, nel 1902 il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Zanardelli.
MUSEO NAZIONALE DELLA SIRITIDE
 Il museo, inaugurato nel 1969, è collocato all’interno del parco archeologico, e mostra, attraverso il materiale recuperato, le varie fasi della presenza umana nella zona, dal neolitico fino alla romanizzazione della colonia greca di Herakleia. Recentemente riallestito, il museo fornisce un completo percorso di tipo cronologico attraverso tutti i particolari periodi storici che l’area ha vissuto. Giusto spazio viene dato anche alle testimonianze indigene enotrie e lucane, con una sezione che illustra con andamento diacronico lo sviluppo di queste culture. Il percorso può essere definito in cinque sezioni principali. La prima è dedicata ai periodi preistorici e protostorici. Si riferiscono al Neolitico i reperti più antichi dei rinvenimenti delle grotte di Latronico e altri siti della zona (ceramiche impresse e dipinte a fasce rosse), risalenti al VI-III millennio a.C. L’età del Bronzo è ben rappresentata con il corredo della tomba megalitica di Tursi (olla con anse a bottoni e motivi geometrici, pugnale in rame) appartenente probabilmente ad un capoclan (2000 a.C.), ma soprattutto con la testimonianza di rapporti con i micenei attorno al tardo Bronzo (1300-1100 a.C.), provata da ceramiche micenee importate e di produzione locale. Il progressivo sviluppo delle popolazioni interne porterà alla formazione delle culture enotrio-italiche, che verranno riprese nell’ultima sezione del museo. La seconda sezione illustra la presenza dei greci nella zona e la conseguente fondazione di Siris nel VII sec; testimonianze di questo periodo sono rappresentate dai reperti del tempio arcaico e dalle vicine necropoli, che dimostrano la presenza indigena (situle bronzee) insieme a quella greca locale o di importazione (statuette votive di figure femminili sedute di tipo dedalico, deinos con cavalli affrontati dai santuari; hydriai, phitoi con decorazione a rilievo, aryballoi ed elmi di tipo corinzio dalle necropoli). Alla fondazione della nuova colonia magnogreca di Heraclea sulle ceneri di Siris, distrutta nel VI sec, è dedicata la terza sezione del percorso, che mostra i vari aspetti della vita della città dal 432 a.C., data di fondazione, alla sua romanizzazione nel III sec. a.C.; la produzione di ceramica è sempre fiorente, per la quantità di materiale rinvenuto: statuette e pinakes votive da modelli lisippici o prassitelici, maschere teatrali, una matrice a rullo per decorare a stampo i contenitori dei cortili delle case ellenistiche, interessanti discariche di fornaci con resti di vasellame deformato e matrici, mentre i santuari di Demetra e di Dioniso restituiscono grandi quantità di statuette votive, laminette bronzee, hydriai con fiaccola a croce, monete magnogreche e romane; interessante il cratere laconico a vernice nera del VI sec riutilizzato nel IV sec come contenitore di piccole hydriai votive, e poi ancora caratteristica la ceramica nera di Gnathia e i vasi apuli. In età romana la testimonianza dei rivolgimenti sociali del I sec. a.C. è data da importanti ritrovamenti di tesoretti di gioielli e monete. La sezione dedicata alle necropoli magnogreche espone materiale molto prezioso. Crateri, hydriai e pelikai vengono usati per i riti a incinerazione, mentre altro vasellame (skyphoi, lekythoi, lekanai), viene deposto per le inumazioni. Fra la grande varietà di materiale, si cita a titolo esemplificativo la spettacolare tomba di Policoro, risalente al 400 a.C., con moltigrandi vasi a figure rosse, tutti di eccezionale qualità, opera di pittori italioti come la pelike con il ritorno delle Eraclidi del pittore delle Carnee, l’hydria con l’uccisione di Sarpedonte del pittore di Policoro. L’ultima sezione riprende le testimonianze delle culture enotrie (fino al VI sec.) e lucane (dal V sec.) della val d’Agri e del Sinni. Le popolazioni indigene degli Enotri sono ben documentate dai corredi delle necropoli di Anglona, Chiaromonte, Tursi (fibule, vasi con decorazione a tenda, parures femminili bronzee contraddistinte da armille a spirale, pendagli a xilofono e cinture a nastro con falere ed anelli multipli; corredi maschili composti da spade, pugnali, punte di lancia e rasoi, tutti databili intorno al VIII sec.); più tardi sono i corredi funebri di una tomba dalle necropoli di Armento, della fine del VI sec, con una oinochoe rodia, coppa di bronzo, armatura con elmo corinzio e soprattutto un kantharos di bucchero che attesta il contatto con il mondo campano etrusco. Di cultura lucana, fortemente ellenizzata, è invece il materiale dal santuario di Eracle a Serra Lustrante del IV sec. (frammenti di statua di Ercole, antefisse a testa di sileno o di gorgone, strigile bronzeo) e i vasi a figure rosse di derivazione greca usati nei corredi funerari; pregevoli gli esemplari del pittore di Roccanova (anforette, skyphos e lekythos).
IL BOSCO PANTANO
  Il bosco di Policoro costituisce quindi attualmente una testimonianza relitta, di rilevantissimo valore naturalistico, scientifico e paesaggistico, della vasta foresta planiziale di latifoglie che anticamente ricopriva gran parte della costa ionica. L'area, segnalata dalla Società Botanica Italiana come meritoria di tutela dal 1971, è attualmente Sito di Importanza Comunitaria (SIC) in base alla direttiva comunitaria Habitat e Riserva Naturale Regionale ai sensi della legge regionale 28/94, per un'area di 480 ettari. Il WWF ha proposto, per l'area del bosco e della foce del fiume Sinni, l'istituzione di una riserva statale. Lo stesso WWF gestisce dal 1995 ventuno ettari del bosco, di proprietà del Comune di Policoro. L'importanza della Riserva è da un lato legata alla sopravvivenza di esemplari arborei colossali, testimonianza viva di quello che dovevano essere i boschi umidi e allagati delle piane costiere ioniche, e dall'altro per la presenza, in un'area ormai ridotta al minimo, di numerosi ambienti molto diversificati l'uno dall'altro (ambiente dunale e retrodunale, ambiente della macchia mediterranea, ambiente del bosco umido planiziale) e delle conseguenti complesse relazioni e dinamiche. Il bosco di Policoro è oggi diviso nettamente in due parti dalla statale 106 Ionica e dalla ferrovia Taranto - Reggio Calabria: il primo tratto, denominato Bosco del Pantano Soprano, è di limitata estensione e, in seguito ad un furioso ed esteso incendio del 1981, appare oggi anche di limitata consistenza; la seconda parte, a valle della statale Ionica, detto Bosco del Pantano Sottano, più esteso e ancora di rilevante valore naturalistico.